Aveva 15 anni quando è stata stuprata. Da un compagno di classe, ad una festa tra coetanei. L'ha drogata e lei, della sua prima e unica volta non ricorda nulla. Ha solo visto le foto scattate dai partecipanti al rito sacrificale, in cui per divertirsi è stato necessario umiliare qualcuno. (Questo è un disvalore socialmente appreso, perché le punizioni collettive non arrivano mai). Negli stupri, alle donne, non fa tanto male la violenza sulla carne: siamo donne e sappiamo partorire con dolore, e chi non ha partorito, sa sopportare i dolori mestruali, nonostante i quali studiamo, lavoriamo, ci impegniamo nella vita. Vale la pena di ricordare che senza la capacità delle donne di saper affrontare il dolore fisico, andando avanti comunque, l'umanità si sarebbe già estinta. Negli stupri, quello che fa male è la violazione della propria libertà. Fa male essere costrette a fare qualcosa voluta da qualcun altro senza il proprio consenso. Aveva 15 anni quando è stata stuprata, e da allora non ha più voluto avvicinarsi a nessun altro uomo. Ma ora è a un passo dalla realizzazione dei suoi sogni professionali, che ha coltivato con tutta la sua forza, nonostante la ferita inferta al senso di fiducia verso il mondo, da un gruppo di stupidi coetanei, solo perché qualcuno aveva voglia di ridere sulle disgrazie altrui. Questo modo di relazionarsi al prossimo è socialmente appreso, non è l'effetto di neuroni malfunzionanti: lo stupratore non è malato, è MALEDUCATO (nel senso peggiore del termine)! Adesso vorrebbe anche lei una famiglia, dei figli, ma non solo. Vorrebbe tornare ad avere fiducia nel prossimo, fuori dai suoi amati libri, dal sogno di diventare un'antropologa in viaggio alla scoperta di altre lingue ed altre culture. Vorrebbe avere un compagno di viaggio, che sappia riscrivere la sua biografia sensoriale, promuovendo il suo corpo anche come luogo del piacere e non solo come luogo della privazione di libertà. E mi racconta che sente le voci dei suoi compagni di classe che le dicono: è stata colpa tua! Se non riusciamo a capire la sua voglia di raccontarsi a se stessa come "colpevole", e che quelle voci attivate come tormento, sono un urlo di coraggio per riappropriarsi della sua libertà di scelta, e le diremo che è psicotica o traumatizzata, allora diventiamo usurpatori di libertà anche noi, costruendole l'identità di vittima e malata da cui sta cercando di riscattarsi. Se le daremo psicofarmaci per zittire quelle voci, senza aiutarla a comprendersi e le impediremo di continuare i suoi studi, che l'hanno salvata dalla sua rabbia legittima, allora saremo usurpatori di libertà anche noi. Se non l'aiuteremo a comprendere che uscire a 15 anni e trascorre del tempo con gli amici non è una colpa, e che non tutti rubano, ma c'è nel mondo anche chi sa chiedere il permesso, diventeremo usurpatori di libertà pure noi. Se non sappiamo darle la sicurezza che si può imparare a distinguere gli uomini da frequentare da quelli da guardare con riprovazione, allora diventeremo usurpatori di libertà pure noi. Se non sapremo insegnare alle donne che la cultura dell'accettazione del sacrificio è un inganno per tenerci a capo chino per imporci ruoli prescritti dalla società e toglierci libertà di scelta, allora siamo colpevoli tutti di quello stupro. Per questo il sottotitolo del libro sulle allucinazioni è "Racconti di errori diagnostici, soluzioni, ribellione e libertà". Dalle colpe altrui, nonostante il dolore e l'ingiustizia subita, ci si riscatta evitando di finirne vittima sacrificale a vita, libere di costruire e realizzare i propri sogni ugualmente e nonostante tutto, liberandoci anche di chi afferma che la sofferenza psicologica sia malattia mentale.
Di Maria Quarato
Illustrazione di Chiara Aime
Libro, Allucinazioni: sintomi o capacitá? Racconti di errori diagnostici, soluzioni, ribellione e libertá, La fabbrica dei segni Editore, Milano, 2019
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